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La Scuola, istituzione e presidio dello Stato democratico, agenzia educativa e organo vitale della società, vive oggi il suo ennesimo momento di disorientamento, chiamata com’è a misurarsi quotidianamente con le trasformazioni (vere, virtuali, implicite, esplicite e presunte), le innovazioni, i cambiamenti sociali (quelli che guardano al futuro e quelli che affaticano il presente), il peso dei retaggi e dei condizionamenti, le ambiguità, i ritardi, i tagli, la responsabilità dell’autonomia, la crisi dei valori…  Accade perché è viva e dunque completamente partecipe del divenire delle cose.

Ai ragazzi lo ripetiamo spesso: c’è, nella parola crisi (κρίσις), la traccia dell’operazione che anticamente la parola indicava: “crisi” era in origine la trebbiatura, la separazione della granella del frumento dalla paglia e dalla pula, dunque un’operazione di “scelta” che presuppone l’esercizio di un “discernimento”, un atto di osservazione e riflessione per stabilire, cioè per decidere, data una serie di condizioni, un intervento, possibilmente migliorativo. 

Ai nostri ragazzi, che naturalmente e rapidamente si trasformano e continuamente entrano “in crisi”, diciamo che “crisi” è anticamera del cambiamento, madre di nuove soluzioni, attività e impegno, non passività.

"...la scuola insegna a pensare, non insegna pensieri..."

E chi meglio del maestro Alberto Manzi, ha tradotto nella figura di uomo mite e rivoluzionario il desiderio di valorizzare l’apprendimento come scoperta quotidiana e di fare della scuola la palestra dove imparare ad imparare.  Il maestro Manzi innovava senza prevaricare, dava valore ai processi prima che ai risultati, al metodo prima che alle soluzioni, alle persone prima che alle prestazioni, ai tentativi e agli errori prima che alle risposte. 

Abbiamo tutti  bisogno di tali esempi di onestà e libertà intellettuale, perché insieme, scuola e società, istituzioni e cittadini, dobbiamo restituire il mondo, la cultura e la storia ai loro legittimi proprietari: i nostri figli.

 

In fondo scrivo perché sono un rivoluzionario, inteso nel senso profondo della parola. Per cambiare, per migliorare, per vivere pensando sempre che l’altro sono io e agendo di conseguenza, occorre essere continuamente in lotta, continuamente in rivolta contro le abitudini che generano la passività, la stupidità, l’egoismo.

La rivoluzione è una perpetua sfida alle incrostazioni dell’abitudine, all’insolenza dell’autorità incontestata, alla compiacente idolizzazione di sé e dei miti imposti dai mezzi di informazione. Per questo la rivoluzione deve essere un evento normale, un continuo rinnovamento, un continuo riflettere e fare, discutere e fare.”


Dal catalogo della mostra Alberto Manzi  -  Storia di un maestro, a cura di Francesco Genitoni e Ernesto Tuliozi, 2007

 

 

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